
L’opera dialoga su più livelli simbolici e materici, fondendo richiami storico-letterari con un’irruzione anacronistica – lo smartphone – che ne deforma la lettura tradizionale.
La figura femminile, la seducente Agatha, raccolta in un gesto di cura rituale (l’annodare la treccia), è resa con acrilici e pastelli su una superficie increspata dalla sabbia pomice. Questo contrasto tattile fra la morbidezza dei pigmenti e la grana grossolana della tela sottolinea il dualismo fra la dimensione intima e quella “duro-tecnologica” della contemporaneità.
La grande A scarlatta, posta su fondo blu profondo, rievoca tanto l’adultera di Hawthorne quanto l’omaggio cittadino a Sant’Agata. Il rosso vibra come emblema di colpa, passione e devozione popolare, mentre il blu funge da spazio sospeso, tra puritanesimo morale e festeggiamenti collettivi.
Lo smartphone, appoggiato sulla coscia nuda, appare straniante: elemento “estraneo” che interrompe la scena classica.
Nel complesso, l’opera si inscrive in un ciclo che esplora la “liquefazione” dell’identità contemporanea: il gesto antico dell’hair-braiding convive con l’instabilità digitale, suggerendo un senso di smarrimento e disgregazione dell’io. La tensione fra passato e presente, tra simbolo e gadget, inaugura uno spazio d’interrogazione sul nostro tempo, dove la tecnologia scinde più che unire, e la donna-Agatha diventa emblema di una condizione esistenziale sospesa
Il dipinto rientra in un ciclo di opere che intendono mettere in luce la forte dipendenza dallo strumento digitale da parte dei viventi il tempo contemporaneo: l’ansia di una risposta o di una disconnessione; i turbamenti da colloqui “vocali” controversi o inattesi. Una liquefazione della vita a vantaggio di uno sbriciolamento di identità.
L’opera è stata inserita nel Catalogo 2024 “Lo Stato dell’Arte ai tempi della 60° Biennale di Venezia” – edito dall’Istituto Nazionale di Cultura.
2024
Tecnica mista su tela (acrilici, pastelli e sabbia pomice)
80x80cm